Cuz PAT
Paese che vai, usanza che trovi
L’Italia è un Paese ricco di tradizioni e diversità che lo rendono unico nel panorama internazionale. Tutelare le nostre radici significa preservare il vasto patrimonio territoriale e di conseguenza il nostro futuro. Non a caso, incastonato nelle alpi Orobie e nascosto tra gli splendidi paesaggi montani della Valcamonica sorge Corteno Golgi, un piccolo paese, che omaggia il nome di Camillo Golgi, premio Nobel per la medicina. Anche la sua specialità enogastronomica, il Cuz ha una storia antichissima. Viene definito come lo spezzatino più antico del mondo, la cui preparazione è stata tramandata da generazione in generazione attraverso i secoli.
La storia del cuz e l’ingrediente segreto
Il cuz è un piatto noto sin dal 700 e si pensa che le sue origini siano ancora più antiche. C’è chi narra che sia un piatto introdotto nella tradizione all’epoca delle invasioni da parte delle tribù ungheresi e chi invece sostiene che sia stato ideato da un frate e poi tramandato agli abitanti di Corteno. Altri ancora, credono che sia stato importato da una tribù di origine slava, da cui potrebbe derivare il nome Cuz, precisamente da “cutsch” e “hus”, le quali significano proprio “carne condita”. Qualunque sia l’origine, possiamo certamente affermare che si tratta di un piatto millenario che ha conservato nel tempo tutta la sua originalità, radicandosi nella cultura della valle e giungendo quasi immutato sino ai giorni nostri.
Questa ricetta è nata principalmente per conservare a lungo la carne degli animali feriti durante le transumanze e solo successivamente è diventata il piatto tipico delle festività nelle famiglie del territorio. I pastori, per non sprecare un alimento così prezioso, preparavano questa pietanza destinata soprattutto alla conservazione per lunghi periodi. Lo riponevano nelle “ole” dei contenitori di terracotta, o in “coviol” appositi recipienti di legno, dopo averlo salato e ricoperta con il residuo del grasso di cottura. Ottimo come condimento del pasto serale oppure da consumare freddo con patate lesse o fritto in padella con la polenta.
La particolarità di questo piatto risiede nel suo ingrediente principale, la carne di “pecora cortenese” caratterizzata da un peso fra 60 e 70 kg, senza corna e dal manto bianco e chiarissimo, una razza ormai in via d’estinzione.
Il significato speciale per gli abitanti di Corteno
Oltre ad essere una ricetta utile per la conservazione della carne, il Cuz ha rappresentato per tanti anni una tradizione importantissima per gli abitanti di Corteno Golgi. Un piatto dai mille significati: famiglia, unità, condivisione, festa…
Ogni famiglia preparava il suo Cuz e invitava tutti i parenti, i vicini, gli amici dei paesi confinanti per mangiare tutti seduti insieme, intorno al paiolo per celebrare questo importante giorno di festa. La festa che cade regolarmente il 15 di Agosto, è una ricorrenza tradizionale dedicata anche ai residenti e alle famiglie degli emigrati che tornano per festeggiare il Ferragosto e per ricongiungersi con i propri cari. Un momento di condivisione unico per tutti gli abitanti di Corteno Golgi.
Quando assaggiarlo
Oggi il Cuz è un piatto tipico nel giorno di Ferragosto ed è soprattutto in questo periodo che lo si trova in tutte le sagre della zona con possibili variazioni, capaci di donare maggiori sfumature al piatto tradizionale.
Con una storia e una tradizione così radicata, non stupisce che il Cuz sia stato inserito nell’elenco di prodotti Agroalimentari tradizionali (PAT) della regione Lombardia.
L’antica ricetta del cuz
Ingredienti originali della tradizione:
- Carne di pecora tagliata in piccoli pezzi
- Grasso di pecora tritato finemente
- Sale grosso
- Burro
- Acqua
Ingredienti variabili per rendere il piatto più moderno:
- Aglio
- Cipolla
- Rosmarino
- Salvia
- Brodo
- Vino bianco
- Ricotta di alpe stagionata grattugiata o grana grattugiato.
Preparazione del cuz
Per preparare il Cuz si utilizza un paiolo di rame, la caldera (come vuole la tradizione ma è possibile utilizzarne anche una in acciaio) e un bastone di ginepro, che andrà posto al centro della pentola e che servirà per far salire a galla il grasso della carne. All’interno del paiolo si inserisce l’agnello tagliato a pezzetti, pulito e sgrassato con un po’ di burro e un goccio d’acqua. È possibile aggiungere, per rendere il piatto più moderno un bicchiere di brodo e gli aromi. Immancabile, alla fine è il grasso di pecora, come esige la tradizione.
Mettere quindi il paiolo sul fuoco, molto meglio se si ha a disposizione un camino e far cuocere lentamente per 4 o 5 ore. Man mano che la carne prende colore e inizia a cuocersi, è possibile aggiungere vino e il brodo, senza esagerare con le quantità dato che la carne deve cuocersi e non lessarsi.
Per evitare che la carne attacchi sul fondo, non bisogna mescolare ma bensì scuotere il tegame con regolarità, facendo dei movimenti circolari. Ripetere questa operazione più volte, specialmente nella prima ora di cottura per evitare di bruciare il grasso. Dopo un paio d’ore dalla cottura, salare la carne ma senza esagerare e ripetere l’operazione un paio di volte. La quantità di sale dipende da quanto tempo si ha intenzione di conservare la carne; più a lungo dovrà essere conservata, più sale bisognerà aggiungere.
Una volta cotta, la carne deve risultare molto morbida e viene servita con il suo intingolo, accompagnata da una polenta dura di granoturco o mista di saraceno e un trito di maschèrpa, un particolare formaggio grattugiato ricavato dal siero del latte.